Caliti juncu

Caliti junco

Nelle opere realizzate per la mostra CALITI JUNCU – il cui titolo allude all’ antico detto siciliano “caliti juncu ca passa la china”, in termini non di sottomissione bensì come forma di intelligenza, dove la pianta si china docilmente per assecondare la furia rovinosa dell’acqua – l’elemento focale è il fascino che l’artista ha nutrito per quell’insieme di presenze sensibili (forme, impressioni tattili, oggetti, suoni, colori) che definiscono il patrimonio archeologico della Valle dell’Anapo, nella Sicilia Sud-Orientale. La suggestione profonda che l’artista ha provato per un paesaggio straordinario e di non facile accesso: integro, selvaggio, sottratto ad ogni processo di antropizzazione; l’irriducibile sacralità di una necropoli rupestre scavata a strapiombo nella roccia, i portelli delle tombe, gli oggetti votivi, i corredi funerari.

Macauda fa proprie le materie, le forme e le immagini che danno corpo e sostanza a questo luogo, e attraverso il processo pittorico ne attua una sorta di trasmutazione, una restituzione dilatata in termini visivi e mnemonici. Percorse da linee che le attraversano verticalmente o da segni arcuati che a centinaia si intrecciano sovrapponendosi tra loro, le opere nascono da movimenti ripetuti, modulari e assieme organici, ordinati ma liberi, fluttuanti, capaci di disegnare sulle superfici delle strutture spaziali profondamente ambigue. Le texture, le cromie, le linee e gli intrecci che saturano i suoi dipinti, agiscono come un filtro che coglie di sorpresa il nostro sguardo, attuandone una momentanea alterazione, facendo si che la serialità di un gesto ripetuto emerga come una sorta di disegno in divenire, un elemento metamorfico più che un segno grafico. Nell’alternanza di ombra e luce, di pieno e vuoto, morbidezza e ruvidità, emerge un luogo ancestrale, uno spazio arcano dove la ripetizione del gesto è per Macauda anche una sorta di volontà di perdita, di liberazione, come un atto di preghiera e di concentrazione durante il quale corpo e mente divengono uno stato dell’essere sospeso, oltre il tempo ed oltre la forma.

Testo critico a cura di Federico Mazzonelli