FESTA

La Festa è l’eterna ripetizione di un evento primigenio, accaduto in un tempo tanto profondo da essere impossibile da stabilire. È un tempo fuori dalla storia, prossimo all’eterno e che continua a riecheggiare negli abissi dell’umanità. È il mito, letteralmente la “parola vera”, a raccontare questo tempo primordiale, a delinearne i contorni, ad evocarne il suono originario.

È un tempo, quello della Festa, che il brusio dell’indaffarata vita quotidiana tende a coprire con una coltre di chiacchiere e insoddisfazione, nella speranza vana che l’abisso primigenio da cui tutto proviene cessi di incutere terrore. Così non è: se l’abisso non lo si guarda a fondo, si ripresenta in modo sempre più insistente e inquietante.

La cultura si può dire che nasca proprio dallo sguardo che l’uomo ha avuto il coraggio di rivolgere verso l’abisso, agli albori della nascita della civiltà occidentale, nella Grecia arcaica, omerica, pre- filosofica. Così, dall’incontro tra il chaos primigenio personificato dal dio Dioniso e la luminosa – e talvolta accecante – sfera solare di Apollo, nascono le forme dell’arte. L’arte nasce dal terrore, dalla volontà di dare forma alla sofferenza insita nella natura mortale dell’uomo, nella sua disperata finitezza.

La Festa è luogo ed evento di manifestazione comunitaria dell’arte, momento in cui gli archetipi dell’orrore primigenio vengono rievocati, in cui il vagito disperato dell’umanità prende forma e si fa danza, figura, suono, parola.
La serie di fotografie/opere che compongono la Festa sono una riappropriazione di questi archetipi e delle loro forme: l’organico, la pulsazione vitale, l’emergere della figura umana e della sua maschera, l’implacabilità del ciclo naturale vita-morte.

La Festa è inevitabilmente un’opera tragica, nella misura in cui prende forma come confronto artistico con la dimensione primordiale e profonda dell’umano. Nella Festa risuonano le parole del canto che le officianti del rito dionisiaco intonano attorno alla vittima sacrificale, Dioniso squartato, il capro – tragedia significa letteralmente “canto del capro”, tràgos è “capro”, oidè “canto”. La tragedia è il modo con cui l’abisso viene mostrato, “rappresentato” nella sua connaturata irrappresentabilità. Per questo la tragedia è consapevolmente destinata a fallire e il suo valore consiste proprio in questo gioioso tentativo disperato di dare forma al chaos.

I colori presenti in ogni opera della serie sono direttamente attinti all’aposematismo, cioè quell’attitudine di diverse specie animali ad assumere colori che possano spaventare eventuali predatori trasmettendo cromaticamente la loro tossicità. Questi colori repellenti sono un richiamo diretto alla lotta che popola il mondo degli organismi viventi, dai più semplici come le piante, ai più complessi come gli insetti, i mammiferi e l’uomo.

I contorni delle immagini sono circondati dall’oscurità, dalla tenebra, che trova una tregua principalmente nel colore rosso, come se fosse solo un fuoco ardente ad illuminare la scena.

Alla serie di dodici immagini si aggiunge un’opera testuale che completa l’esposizione. In essa compare una costellazione di parole, di accenni, di direttrici di senso che sono indispensabili per l’orientamento del visitatore all’interno delle opere visuali. Non si tratta di un testo didascalico, descrittivo, univoco bensì di un’opera espressiva che indirizzi il fruitore senza però costringerlo in un percorso e in un’esperienza precostituiti.

Nicola Patruno

FESTA

‘Festa’ is the eternal repetition of a primal event that took place in a time so remote to be impossible to determine. It is a time beyond the history, close to eternity and continuously echoing in the abyss of humanity. It is the myth – literally “the real word” – that narrates these primordial times, delineates its contours and summons its original sound. 

 It is a time that the buzz of the busy everyday life tends to cover with a veil of small talk and discontent, in the vain hope that the prime abyss from which everything originated will cease to instill terror. This is not the case: if one does not look deeply into the abyss, this will present itself more insistently and disturbingly. 

One can say that culture generates from human beings’ courageous decision to gaze into such abyss, at the dawn of western civilization, in the archaic, Homeric, pre-philosophical Greece. 

 So, from the meeting between primal chaos, personified by the God Dyonisus, and the luminous – and often blinding – solar sphere of Apollo, the forms of Art are born. 

Art generates from terror, from the will to give a shape to the suffering that is inherent in Man’s mortal nature, in his desperate finitude. Festa is where Art’s community manifestation occurs, the moment in which the archetypes of primal horror are summoned, where the desperate cry of humankind reshapes into dance, picture, sound, word. 

The series of photographs that compose Festa  is a repossession of those archetypes and its forms: the organic, the vital pulse, the surfacing of the human figure and its mask, the implacability of life and death’s natural cycle. 

Festa is inevitably a tragic work, in so far as it takes shape as an artistic confrontation with the primal and profound dimension of humanity. In Festa, the chanting words pronounced by the officiants during the sacrifice of the Dyonisian ritual resonate. The victim is Dyonisus himself, ripped apart; he is the sacrificed goat. The literal meaning of tragedy is actually “chant of the goat”, tràgos meaning “goat” and oidè meaning “chant”.The tragedy is the way through which the abyss is shown, “represented” in its inherent un-representativeness. This is why the tragedy is consciously doomed to fail, and its cause consists in this joyous yet desperate attempt to shape chaos.

The colors that are presented in each work of the series tap directly into Aposematism, namely the aptitude of various species of animals to take colors that could scare potential predators by chromatically transmitting their toxicity. The repellent colors are an immediate call to the fight that populates the world of living organisms, from the simpler plants to the more complex insects, up to mammals and human beings.  

The contours of the images are surrounded by darkness, which finds its break in the color red, like a burning fire illuminating the scene. A textual work is added to the series of twelve images, in which a constellation of words, guidelines and essential references appear in order to direct the visitor through the visual works.  

It is not a didactic, descriptive or unequivocal text but an expressive work that guides the viewer without forcing him/her into a pre-established experience.

Nicola Patruno